Aperitivo Delle Cose #5: Wearable e Sanità

Nel quinto appuntamento dell’Aperitivo Delle Cose con Annamaria Ruscio di NetConsulting cube, Antonio Bosio di Samsung, Giuseppe Andreoni del Politecnico di Milano, Paolo Meriggi della Fondazione Don Gnocchi e Roberto Perissin di MGC Diagnostics si è parlato di come il sistema sanitario potrebbe diventare più efficiente grazie alle nuove tecnologie.
Annamaria Ruscio: il mondo del wearable si distingue in wellness, sanità, farmacologia (si parla di inside-ble, rilascio di farmaci). La novità oggi è che i dispositivi sono sofisticati e consentono di prendere le misure di alcuni parametri che anni fa era impensabile fare. A tutti gli effetti entrano nel sistema sanitario di monitoraggio. Utilità? Consentono un monitoraggio della persona prima che del malato; con il wellness ci sono tanti dispositivi che consentono di monitorare per es. le calorie, la postura e se il nostro benessere viene messo a rischio. L’utilità è legata anche ai bilanci dei sistemi sanitari nazionali e al fatto che c’è un progressivo invecchiamento della popolazione. Se un chip non solo rileva parametri ma rilascia anche farmaci si può erogare un farmaco e monitorare la situazione a distanza: le perplessità stanno nella privacy e nell’uso dei dati rilevati.
Roberto Perissin: Come sono nati i wearable? Sono nati negli anni 2000 per sfruttare non la portatilità ma l’indossabilità (di uno strumento medicale). Una grossa azienda americana commissionò alla Carnegie University di Pittsburgh il design di uno strumento indossabile per misurare dei parametri fisiologici (dispendio energetico ed attività motoria) nei diabetici. Negli anni poi si passò a da strumenti grandi e con cavi per sincronizzare i dati a strumenti più piccoli, e sempre più piccoli senza cavi ma con collegamenti bluetooth/wireless. Dal 2007 circa entrano nel campo del wellness per conoscere il dispendio energetico e grazie ad essi oggi abbiamo più consapevolezza della nostra forma fisica e del nostro stile di vita.
Paolo Meriggi: Il mondo sanitario non è ancora pronto all’uso dei wearable, la tecnologia è più avanti della capacità d’uso del sistema, è necessaria un’evoluzione. Un monitor di movimento potrebbe dare informazioni interessanti a supporto di un affiancamento della persona, aiutano ad avere una visione complessiva della persona e identificano un percorso di riabilitazione della persona su misura. Il processo di riabilitazione deve essere un percorso che si conclude a casa del paziente. La fondazione Don Gnocchi sta lavorando in progetti dell’utilizzo della tecnologia per la riabilitazione motoria, tele-riabilitazione e l’interesse per i wearable è elevato. Aspetti positivi: la persona non si sente da sola, la struttura può avere una visione nel corso del tempo che contribuisce a costruire un intervento personalizzato. Le difficoltà sono dal punto di vista culturale, pochi riabilitatori/medici hanno la sensibilità di accettare l’apporto positivo delle nuove tecnologie sulla singola persona.
Giuseppe Andreoni: La sanità è un mondo resiliente, le innovazioni arrivano quando le tecnologie sono già superate, perlomeno in Italia. Vi sono più di 5mila app medicali e wellness e da un anno e mezzo c’è un dibattito sul valore legale dei dati, il loro salvataggio e proprietà. Nessuna app può essere certificata come dispositivo medico e vengono persi importanti patrimoni di dati. Tra i pilastri della medicina supportata dai wearables c’è quello della prevenzione che può far risparmiare in termini di costi il mondo della sanità. Tornando alla consumerizzazione dei dispositivi medicali-wellness, questa è un’opportunità per svincolarsi da dati clinici che hanno determinati vincoli e consentire al medico di avere a disposizione una serie di dati che lo aiutano a capire lo stato di salute.
Il PoliMI ha un progetto europeo (progetto Pegaso) per la prevenzione dell’obesità nei ragazzi adolescenti cercando di lavorando sullo stile di vita. L’obesità copre il 34% dei giovani italiani e sta diventando un problema perchè porta a patologia come il diabete e le cardiovascolati. Le parole chiave sono Move, Eat, Share, Play. Move perchè lo stile di vita deve essere attivo; Eat perchè ci dev’essere un’educazione al cibo, la nutrizione deve essere bilanciata al proprio stile di vita e alle proprie attività; Share perchè l’attività social è fondamentale: un approccio di prevenzione non impositivo ma sociale permette di avere un supporto morale e di condividere una sfida con la comunità; Play perchè l’approccio è di tipo serious game: con le piattaforme mobile si possono creare situazioni ludico-educative e stimolare la consapevolezza nei ragazzi. Il progetto si integra con un portale online e dispositivi wearable per la raccolta di alcune informazioni.
Antonio Bosio: Samsung lavora non solo sui device ma sul contesto in cui si inseriscono, si parla solo di smart home? Il tema principale è il wearable e la casa connessa è un ausilio ai dispositivi IoT nella valutazione del comport delle persone. Sapere che una luce è accesa non è un dato rilevante, ma rapportandolo al fatto che due persone anziane si alzano tutti i giorni alle 8 ed accendono la luce può lanciare un allarme (sullo smartphone del figlio?) se per esempio una mattina la luce non viene accesa. Quando chiediamo alle persone di compiere azioni manuali (inserire o rimuovere in un database i prodotti presenti nel frigo “smart”) esse si stancano facilmente. Samsung sta rilasciando dei frigoriferi con delle videocamere che mappano il contenuto ed estraggono informazioni utili quando siamo al supermercato a fare la spesa. Come dispositivi wearable lavorano su dispositivi medicali come Simband: un bracciale smart con diversi sensori dedicato a pazienti con malattie croniche.
Cosa rimane da questo dibattito? Il sistema sanitario può diventare più efficiente, migliore e risparmiare portando in ambito consumer le tecnologie utili al tracking dei dati che possono essere utili. Si deve fare sistema e lavorare insieme per dare valore ai wearable e i medici vanno istruiti a leggere e saper utilizzare questa nuova mole di dati.